Un cardiologo del Musashino Red Cross Hospital ha formulato la seguente diagnosi:
"Si tratta di cancro al pancreas all’ultimo stadio, che si è già esteso con diverse metastasi ossee.
Le rimangono al massimo sei mesi di vita".
Io e mia moglie lo ascoltammo assieme. Era una sorte così grave e inaspettata che entrambi riuscivamo appena a sostenerla.
Ero abituato a pensare, in tutta onestà, che "non posso farci nulla se muoio da un giorno all'altro". Ciononostante, è accaduto tutto così improvviso.
Di sicuro, c'erano stati dei segnali. Due o tre mesi prima avevo avuto forti dolori in diversi punti della schiena e all'inguine; avevo perso forza nella gamba destra e mi riusciva difficile camminare, per questo andavo da un agupunturista e da un chiropratico, senza che però mi sentissi meglio. E quindi dopo essermi sottoposto a una risonanza magnetica, a un PET-CT e ad altri strumenti di precisione, giunse l'improvviso annuncio del poco tempo che mi rimaneva.
Era come se la morte mi fosse giunta alle spalle prima ancora che potessi rendermene conto, e non c'era assolutamente niente che io potessi fare per cambiare le cose.
Dopo la diagnosi di cancro io e mia moglie valutammo ogni tentativo possibile di estendere la mia vita. Era letteralmente una questione di vita o di morte. Ricevemmo il supporto di amici fedeli e di forti alleati. Declinai ogni cura contro il cancro, e cercai di vivere con una visione del mondo leggermente diversa dalla norma. Il fatto che rifiutassi ciò che in genere ci si “attendeva come normale" mi sembrò qualcosa in armonia con i miei modi fare consueti.
Non ho mai veramente pensato di appartenere alla maggioranza, ed era lo stesso anche per le cure mediche, come per qualsiasi altra cosa. "Perché non cercare di continuare a vivere secondo i miei propositi, invece!". Tuttavia, proprio come quando cerco di creare un nuovo progetto di un film, la forza di volontà di una persona soltanto non era quello che ci voleva.
La malattia avanzava incessantemente, giorno dopo giorno.
D'altro canto, come appartenente alla società, ho accettato almeno la metà di ciò che la società in genere ritiene che sia giusto. Pago le tasse. Sono ben lontano dal riconoscermi come un cittadino dignitoso, tuttavia mi sento pienamente parte della società nipponica.
Di conseguenza, ad eccezione di ciò che avevo bisogno di fare per estendere la mia vita, secondo il mio punto di vista, tentai anche di preparare tutte le cose necessarie per "essere pronto a morire come si conviene".
Tuttavia, non credo di esserci riuscito.
Ma una delle cose che feci fu di allestire, avvalendomi della collaborazione di due amici di cui potevo fidarmi, una società che gestisse questioni come quelle del misero numero di copyright che detenevo. Un'altra cosa fu quella di assicurarmi che mia moglie ricevesse ogni singolo bene che possedevo, e per questo redissi un testamento. Ovviamente, non che pensassi che qualcuno avrebbe avuto da ridire sulla mia eredità o cose simili, ma volevo essere certo che mia moglie, che ero costretto a lasciare in questo mondo, non avesse nulla di cui preoccuparsi; e comunque volevo togliermi ogni ansia di dosso, proprio io che ero in procinto di spiccare un piccolo balzo verso lassù, prima di dovermene andare.
Di tutta la documentazione necessaria per portare avanti questo compito, che né io né mia moglie eravamo in grado di fare compiutamente, se ne occuparono celermente alcuni meravigliosi amici.
Più tardi, quando sviluppai la polmonite e mi ritrovai di già di fronte alla morte, misi la mia firma sul testamento e pensai che se fossi morto in quel luogo, in quel preciso momento, non ci sarebbe stato nulla da fare.
"Ah...finalmente posso morire".
Dopotutto, ero stato portato in ambulanza al Musashino Red Cross Hospital soltanto due giorni prima che ciò accadesse; e sempre in ambulanza vi giunsi ancora una volta il giorno successivo. Persino io dovevo essere ricoverato e sottopormi a diverse visite e controlli medici.
L’esito di quegli esami fu di polmonite, con liquido nei polmoni: quando senza mezzi termini lo chiesi al medico, la risposta che ricevetti fu molto sistematica e professionale, e in un certo qual modo gli ero grato di ciò.
"Potrebbe resistere ancora uno o due giorni... ma persino se sopravvivesse a tutto questo, probabilmente le rimarrebbe da vivere fino alla fine del mese".
Mentre ascoltavo, pensai "Sembra quasi che mi stia illustrando le previsioni del tempo", ma invece la situazione era terribile.
Era il 7 luglio.
E lo decisi proprio in quel momento.
Volevo morire a casa.
So che facendolo avrei dato parecchio disturbo alle persone che mi curavano, ma chiesi loro comunque di trovare un modo per farmi uscire da lì e tornare a casa. [Ci riuscii] grazie alla tenacia di mia moglie, alla collaborazione dell'ospedale, benché avessero accettato la mia rinuncia alle cure, all'incredibile supporto di altre strutture mediche, e a una serie di coincidenze così numerose che potevano essere soltanto mandate dal cielo. Non avevo mai visto così tante combinazioni di eventi sistemarsi al proprio posto in maniera così liscia nella vita reale, riuscivo a malapena a crederci.
Mentre mia moglie si affaccendava per sistemare le cose per la mia “evasione” dall’ospedale, io continuavo ad implorare i medici: "Se posso tornare a casa anche soltanto per mezza giornata, mi rimangono ancora cose che posso fare!". Poi mi ritrovai ad aspettare da solo la morte, in una deprimente stanza di ospedale; ero da solo, ma mi ritrovai a pensare:
"Forse morire non sarà poi così male".
Non ce n'era ragione, e forse avevo proprio bisogno di pensare in quel modo, ma mi sentivo sorprendentemente calmo e rilassato.
Tuttavia, c'era ancora un pensiero che mi rodeva dentro.
"Non voglio morire qui..."
Mentre lo pensavo, qualcosa emerse dal calendario appeso alla parete e iniziò a diffondersi nella stanza.
"Oh cielo, una linea che fuoriesce dal calendario.
Le mie allucinazioni non sono per niente originali".
Dovetti sorridere al fatto che i miei istinti professionali erano all'opera persino in momenti come quelli, ma in ogni caso, a quel punto, ero probabilmente più vicino all’aldilà di quanto non fossi mai stato. Davvero sentivo la morte vicinissima a me. [Ma] con l'aiuto di molte persone, fuggii miracolosamente dal Musashino Red Cross e tornai a casa, avvolto tra le lenzuola e le terre dei morti.
Mi sento di sottolineare che non riserbo alcuna critica, né odio, nei confronti del personale del Musashino Red Cross Hospital, per cui non fraintendetemi.
Volevo soltanto andare a casa, nella mia casa. La casa dove vivo.
Fui un po' sorpreso poiché, mentre venivo portato nel salotto di casa mia, come bonus feci quell'esperienza della pre-morte che prima o poi risulta così familiare a chiunque, riguardo al "guardare da un luogo lassù in alto il tuo corpo che viene portato in una stanza".
Guardavo me e la scena attorno a me da una posizione di diversi metri sopra il terreno, come da un obiettivo angolato, e un'illuminazione a flash. Il quadrato del letto nel mezzo della stanza sembrava molto largo e imponente, e il mio corpo avvolto dalle lenzuola veniva adagiato nel mezzo del quadrato. Non troppo gentilmente, ma non mi lamento.
Quindi, tutto ciò che dovevo fare era attendere la morte a casa mia.
Comunque.
A quanto pare fui in grado di vincere la polmonite.
Eh?
In un certo senso la pensavo così.
"Non ce l'ho fatta a morire!" (risata)
In seguito, quando non riuscivo a pensare ad altro che la morte, mi convinsi che in quel momento ero morto per davvero. Nei meandri della mia mente, la parola "rinascita" fluttuò diverse volte.
Incredibilmente, dopo quel fatto la mia forza vitale si era rinnovata. Dal profondo del mio cuore, credo che fosse dovuto alle persone che mi aiutarono: innanzitutto mia moglie, e poi grazie al supporto dei miei amici, dei medici e delle infermiere, e di tutto il personale di cura.
Ora che la mia forza vitale era stata ristabilita, non potevo sprecare il mio tempo. Ribadii a me stesso che mi era stata concessa una vita extra, e dovevo trascorrerla con molta attenzione. Quindi pensai che dovevo cancellare almeno una delle irresponsabilità che avevo compiuto e che avrei lasciato in questo mondo.
A essere sincero, avevo detto del cancro solo alle persone a me più vicine. Non lo avevo detto nemmeno ai miei genitori. In particolare, a causa di varie complicazioni legate al lavoro, non potevo dire niente alla gente, anche se lo desideravo. Volevo annunciare la mia malattia in Internet e fare rapporto sulla poca vita che mi rimaneva, ma se la morte di Satoshi fosse stata messa in programma, avrebbero potuto esserci delle onde di riflesso, per quanto piccole. Per queste ragioni, mi comportai da vero irresponsabile con le persone a me vicine. E mi dispiace davvero tanto.
C'erano così tante persone che volevo vedere prima di morire, alle quali volevo poter dare almeno una parola di commiato. La mia famiglia e i parenti, vecchi amici e compagni delle scuole elementari e medie, del liceo, gli amici che incontrai all’università, le persone che conobbi nel mondo dei manga, con i quali scambiai così tanta ispirazione, le persone del mondo dell'animazione accanto alle cui scrivanie sedetti, con cui andai a bere insieme, con i quali ero in competizione per gli stessi lavori, i compagni con cui condivisi le belle e le brutte esperienze. Le innumerevoli persone che ero stato in grado di conoscere grazie alla mia posizione di regista cinematografico, le persone che si definiscono miei fan non solo in Giappone ma in tutto il mondo, gli amici che mi ero fatto sul web.
Ci sono così tante persone che vorrei vedere almeno una volta (beh, ce ne sono anche alcune che non voglio vedere), ma se le incontro temo che il pensiero che "non potrò mai più vedere questa persona di nuovo" mi sopraffarebbe, e che non sarei in grado di accogliere la morte con eleganza. Anche se mi ero rimesso, mi era rimasta assai poca forza vitale, e mi costava molto sforzo incontrare le persone. Più persone desideravano vedermi, e più duro era per me riceverle. Che ironia. In più, la metà inferiore del mio corpo era paralizzata a causa del cancro che si stava espandendo alle ossa: ero prono a letto, e non volevo che la gente vedesse il mio corpo così patito.
Volevo che la maggior parte delle persone che conoscevo mi ricordasse come il Satoshi pieno di vita.
Vorrei usare questo spazio per scusarmi con i miei parenti, amici e conoscenti, per non avervi detto del cancro, per la mia irresponsabilità. Vi prego di comprendere che ciò era proprio un desiderio egoista diSatoshi.
Voglio dire, Satoshi Kon era "quel genere di persona".
Quando m’immagino i vostri volti, mi tornano alla mente solo bei ricordi e i vostri grandi sorrisi.
A tutti, grazie per i tanti magnifici ricordi.
Ho amato il mondo in cui ho vissuto.
Solo il fatto di poterlo pensare mi rende felice.
Le tante persone che ho incontrato nel corso della mia vita, sia che fossero positive che negative, mi hanno aiutato a plasmare l'essere umano che è Satoshi Kon, e sono grato per ognuno di quegli incontri. Anche se alla fine il risultato è una morte prematura nel bel mezzo dei miei quarant'anni di vita, l'ho accettato come il mio unico possibile destino.
Dopotutto, mi sono successe così tante belle cose.